Periodico di attualità, politica e cultura meridionalista

giovedì 1 novembre 2012

Caro lettore, che ci fai ancora qui? Corri su www.ilgiornaledelsud.net


NAPOLI - Che ci fai ancora qui, caro lettore? Grazie a te, che ci hai seguito nel corso di questi mesi, è nato www.ilgiornaledelsud.net, il nuovo sito che punta a rivoluzionare l'informazione meridionalista. Un regalo che ci siamo fatti nel primo compleanno di vita de il Giornale del Sud. Un regalo che ti facciamo per informarti a 360°, tutti i giorni, quando vuoi. Buona lettura!

martedì 21 agosto 2012

Emergenza rifiuti, Palermo tra fiamme e dossina


PALERMO – Notte di fuoco e non è solo colpa di Lucifero. Quello che sta avvenendo non dipende dal caldo africano che si sta abbattendo sulla penisola ma per via dell’emergenza rifiuti che è esplosa con violenza dopo la chiusura della discarica di Bellolampo che serve la città. In attesa della riapertura, che dovrebbe avvenire entro la prossima settimana, i sacchetti continuano ad accumularsi nelle strade e la popolazione esasperata per la puzza e il caldo torrido, ha cominciato a dare alle fiamme sempre più cassonetti. Ad essere colpiti sono soprattutto i quartieri Bonagia e Falsomiele mentre i carabinieri stanno effettuando controlli a tappeto sugli allevamenti che sorgono nelle aree circostanti la discarica, in particolare a Torre Ingastone e alla Torretta, dove le prime analisi hanno dimostrato che il valore della diossina contenuto nel latte munto dagli animali è tre volte superiore alla norma. Una situazione che rischia di danneggiare un settore vitale per la provincia e causare una emergenza sanitaria di proporzioni ancora mai verificatasi.

red. cro.

Regionali Sicilia, si profila lo scontro Musumeci - Crocetta (con fantasma)

 Rosario Crocetta
Nello Musumeci

PALERMO – C’è molta confusione sotto il cielo. Per ora l’unica candidatura certa è quella di Claudio Fava per contro di Sinistra e Libertà. Gianfranco Miccichè pareva pronto alla discesa in campo per tanti anni sognata ma proprio nelle scorse ore ha deciso di proporre la candidatura a Governatore di Nello Musumeci. Musumeci è già noto alla politica per il caos delle elezioni politiche del 2006. All’epoca Musumeci era stato cacciato da Alleanza Nazionale su ordine di Gianfranco Fini. Fece un suo movimento che presentò una lista alla Camera dei deputati nella sola sicilia. Raccolse più di 30mila voti. La differenza che aveva portato Prodi ha conquistare la Camera era di poco meno di 15mila voti. Se su Musumeci non avesse pesato il veto di Fini il centrodestra nel 2006 avrebbe vinto di oltre 15mila voti alla Camera e la storia politica degli ultimi anni sarebbe stata diversa. Tant’è che Musumeci cantò vittoria proprio presso il grande sconfitto, Berlusconi, che da allora lo considera l’uomo forte del centrodestra siciliano. Oggi leader de la Destra di Storace, Musumeci potrebbe “accontentare” Miccichè e far convergere su di sé il consenso del Pdl che attualmente brancola nel buio. I papabili che stanno facendo strabuzzare gli occhi ad Alfano sono almeno tre. Il primo è l’eterna promessa della politica siciliana, il Presidente dell’Assemblea Regionale Francesco Cascio che era già considerato un ottimo candidato Sindaco di Palermo. Il secondo nome che circola nel Pdl è quello del Rettore dell’Università di Palermo Roberto Lagalla. Terzo, ma ormai considerato fuori dai giochi è il Presidente della Provincia di Catania Giuseppe Castiglione. Probabilmente Berlusconi porterà il Pdl a sostegno di Musumeci o Alfano farà la sintesi trovando un quarto candidato che scontenterà tutti. Il Partito Democratico è pronto a governare con l’Udc. I due partiti hanno ormai scelto di candidare l’ex Sindaco di Gela, Rosario Crocetta. Pur di vincere il cattolicissimo scudocrociato Casini è passato sopra le tendenze sessuali di Crocetta, omosessuale dichiarato che, nel corso di una intervista alla trasmissione radiofonica Klauscondicio ha affermato che, in caso di vittoria, rinuncerà al sesso per evitare di fare la fine di Berlusconi. La promessa castità piace all’Udc che ha dato il suo consenso all’alleanza e che potrebbe tirare dentro anche Futuro e Libertà. L’ex fascista Gianfranco Fini, pur di sopravvivere, ormai si allea con piacere ai nipotini promiscui di Botteghe Oscure e Piazza del Gesù, acerrimi nemici dei missini dell’epoca di Fini. A confermarlo è stato Italo Bocchino che barcolla tra l’asse Pd-Udc e quello del (fu) terzo polo Movimento per la Sicilia e Alleanza per l’Italia. Sicuramente il primo più promettente. Su tutto regna un’ombra nera: quella dell’ex Governatore Raffaele Lombardo che negli ultimi quattro anni ha avuto modo di governare e creare un apparato di controllo politico e amministrativo senza precedenti. Così, scavando dietro i nomi dei candidati a Palazzo dei Normanni scopri che dietro Rosario Crocetta ci sono due grandi elettori che di nome fanno Beppe Lumia e Antonello Cracolici, fautori del Pd pro Lombardo negli ultimi anni. Lo spirito Lombardorum aleggia però anche in casa Pdl dove ipoteca l’animo di Cascio, suo sostenitore da Presidente dell’Ars e dove mina la stabilità delle candidature di Musumeci e Castiglione. Musumeci è favorito nei sondaggi ma, come Castiglione, è catanese d.o.c., proprio come Lombardo. Riusciranno gli altri siciliani a ingoiare il rospo di un catanese, ancora alla guida del Governo Siciliano dopo la drammatica esperienza Lombardiana? Peserà anche il fattore “provincialistico” nella corsa alla Regione ma maggiormente significativo sarà vedere l’astensione che alle recenti amministrative l’ha fatta da padrona e ha inciso, non poco sui risultati elettorali.

PAOLO LUNA

Tentano la fuga dal centro di accoglienza, caos a Ragusa




RAGUSA – Un carabiniere e un poliziotto feriti, distrutti impianti di videosorveglianza, computer e altro materiale informatico. Questo il bilancio del tentativo di fuga dal centro di accoglienza di Pozzallo di 14 immigrati tunisini finiti in manette e accusati di resistenza e violenza contro le Forze dell’Ordine. I 14 immigrati erano sbarcati alcune settimane fa a Lampedusa dove già si vede l’alba di una nuova emergenza. Il tentativo di fuga è rientrato ma il rischio è quello di una ripresa degli sbarchi che rischia di aumentare alle stelle le tensioni accumulate negli ultimi due anni in Sicilia.

red. cro.

Una nave, un'armatura e una statua, i tesori di Capo Zeffirio


COSENZA – Un leone in bronzo ed una armatura in bronzo e rame. Questi i reperti che il mare Ionio ha restituito e che sono stati scoperti da tre sub calabresi. Il nucleo Patrimonio Artistico di Cosenza, guidato dal capitano Raffaele Giovinazzo, è già arrivato ad Africo per incontrare i sub che sono chiamati a ricostruire l’accaduto. Il ritrovamento potrebbe essere di importanza storica ma per stabilirlo i Carabinieri avvieranno tutte le verifiche del caso ed esperti studieranno i reperti ritrovati al largo di Capo Zeffirio. Della vicenda si occupa anche la Soprintendente ai Beni Archeologici della Calabria Simonetta Bonomi, ufficio a cui spetta la vigilanza e la conservazione dei beni ritrovati in Calabria. Ma la scoperta potrebbe costare cara ai tre sub che non hanno denunciato il ritrovamento entro le 24 ore previste dalla legge. I carabinieri dovranno capire se la mancata denuncia è dovuta a fini poco leciti o a semplice mancanza. Senza considerare che il leone e l’armatura potrebbero essere solo la punta dell’iceberg di un patrimonio archeologico ben più consistente. Una nave intera ed una statua sarebbero conservati al largo di Capo Bruzzano, carico affondato dopo aver urtato contro gli scogli secondo la prima ricostruzione dei sub. Tutta la Calabria è in attesa di conoscere se ci si trova di fronte ad una nuova scoperta paragonabile a quella avvenuta, 40 anni prima, a Riace quando emersero dalle acque i famosi bronzi.

red. cul.

Economia, gli imprenditori del Sud i più a disagio (ma falliscono meno)


NAPOLI – Il rapporto sul “disagio” degli imprenditori stilato dalla Fondazione Impresa traccia un quadro molto chiaro del divario Nord – Sud. Particolarmente disagiate la Campania e la Basilicata che sono ai vertici di questa classifica del disagio. Nonostante la vita dell’imprenditore meridionale sia più dura e difficile i dati indicano che su 10mila aziende hanno chiuso solo 7 aziende in Basilicato a fronte delle 31 della Lombardia. Quindi il disagio non si trasforma necessariamente in fallimento. Al terzo posto, nella classifica del disagio avvertito dagli imprenditori, le Marche e poi ancora Sud con Calabria e Sicilia. Ma l’indagine della Fondazione Impresa è riuscita anche a tracciare un quadro preciso delle aziende più incerte. Si tratta di quelle di nuova costituzione (con meno di cinque anni di vita) e di quelle piccole (con meno di 5 dipendenti soprattutto). Dopo di questi i titolari più preoccupati sono quelli che, negli ultimi anni, hanno fatto la scelta di innovare nonostante la crisi sempre più incombente. Più tranquilli gli imprenditori del Trentino, del Piemonte, dell’Emilia Romagna e del Veneto. Tra gli altri settori analizzati quello della comunicazione a banda larga (dove le peggiori regioni sono Marche e Basilicata), la densità ferroviaria (le reti meno sviluppate in Trentino, Basilicata, Umbria, Abruzzo, Puglia e Molise) e quella autostradale (ai vertici negativi la Sardegna e la Basilicata).

red. eco.

Truffa ai distributori, carabinieri in azione


TERAMO – Quando non basta il prezzo in aumento della benzina ci si mette anche la disonestà di alcuni gestori che, pensando di fare i furbi e scamparla, ritoccano le pompe di distribuzione. Così una vera e propria truffa ai danni degli automobilisti è stata scoperta dalla guardia di finanza di Teramo dove alcune pompe di benzina erano state manomesse in modo che dai serbatoi uscisse meno benzina di quanto effettivamente era stato richiesto (e pagato!) dagli ignari automobilisti. Le forze dell’ordine sono intervenute e hanno messo i sigilli ai distributori e denunciato per truffa i gestori.

red. cro.

lunedì 20 agosto 2012

L'EDITORIALE/ Monti fa l'ottimista e non vede l'autunno caldo


CASERTA - Monti intravede la fine della crisi. O è un estremo ottimista oppure un inguaribile bugiardo. Propendo per la seconda ipotesi. Il pinocchietto Monti continua a sbandierare a destra e a manca che tutto va bene. Ci ricorda qualcuno. Ci ricorda quel Berlusconi ultima maniera che si faceva in quattro ogni dì per sostenere che la crisi, tutto sommato, non stava toccando gli italiani e che i ristoranti (poveri ristoratori che faranno la felicità di politici ed economisti solo quando chiuderanno per mancanza di clientela!) erano sempre pieni. Monti fa di più, perché all’ottimismo berlusconiano poco adatto ad un tecnico, aggiunge quella punta di dico e poi smentisco che ha fatto la rovina del politico. Così già a marzo e a giugno aveva intravisto la fine della crisi, salvo poi ad aprile e luglio mazzolare ben bene, gli italiani con tasse, gabelle e questionari dell’Agenzia delle Entrate e dell’Equitalia. Il tutto con la scusa del precipizio che si allarga giorno dopo giorno. Circostanza che ci fa credere che questo autunno sarà veramente “caldo” come la Fornero, profetica pur senza lacrime, ha annunciato. Sono almeno tre i fronti che renderanno caldissimo l’autunno. In primo luogo dalla prosecuzione della folle politica del tassa e non spendi che sta uccidendo, quello che resta, delle piccole e medie imprese, le quali costituiscono l’ossatura portante dell’apparato produttivo di questo sgangherato paese. In secondo piano c’è il declino dell’euro e il continuo manifestarsi della inefficienza della burocrazia di Bruxelles. Non ci sono state aperture alla Grecia e alla Spagna, il cui stato comatoso è ormai evidente nonostante tutto l’impegno di Samaras e Rajoy per dimostrare la vitalità eurofila dei due paesi, e la Germania, complici Olanda e Finlandia, ha praticamente mandato a monte la partita del Meccanismo di salvaguardia Europea (Deo gratias), l’unico strumenti che la geniale mente dei grigi di Bruxelles era riuscito a farsi venire in mente per “salvare” gli Stati in difficoltà. L’uscita dalla Grecia dall’euro è tecnicamente possibile. Lo ha detto il responsabile dell’eurogruppo Junker. I giornali finlandesi hanno parlato di un piano già pronto per accompagnare i greci alla porta, stessa cosa che fece la stampa tedesca qualche mese fa. Piani segreti e smentite che non riescono a nascondere la dura realtà dei fatti. Terzo elemento è quello, molto sottovalutato, della fame che avanza nel Sud del mondo. Il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha lanciato l’appello alle plutocrazie (poco) democratiche di tutto il mondo, dal Canada alla Cina, dal G8 al G20, tutti insieme per risolvere il problema delle carestie che sta affliggendo i Sud del mondo. A causa delle anomalie temporali, ma soprattutto per via di poco accorte scelte di politiche di sviluppo e di sostegno al cosiddetto Terzo Mondo, sempre più paesi corrono il rischio di ritrovarsi con le coltivazioni distrutte. L’estate 2012 è la più arida degli ultimi dieci anni e i danni rischiano di diventare incalcolabili. Obama ha lanciato l’allarme non per spirito umanitario ma perché gli Stati Uniti sono coinvolti in prima linea nel dramma della carestie. Numerosi stati americani rishciano di vedere annullata la propria capacità produttiva. Questo porterà ad un aumento alle stelle dei beni di prima necessità. Il “Terzo mondo” sarà ancora più povero e affamato e quella migrazione dei popoli, ripresa con il primo sbarco di 400 migranti a Lampedusa, rischia di riprendere con maggiore forza. A queste tre grandi problematiche, e all’incapacità delle classi dirigenti mondiali di risolverle, si aggiungono le previsioni autunnali sui “piccoli problemi”, dalla benzina in aumento alla crisi siriana, dall’Ilva ai conflitti religiosi ed etnici, che contribuiranno a destabilizzare il quadro. Insomma, l’autunno caldo è alle porte, meno male che c’è Monti l’ottimista.

ROBERTO DELLA ROCCA


venerdì 17 agosto 2012

Incendi estivi, Sud all'avanguardia nella prevenzione e nella cooperazione


NAPOLI – Oltre 50 incendi al giorno con punte comprese tra gli 80 e i 100 roghi. Questo il bilancio provvisorio di questa estate 2012 mentre una nuova ondata di caldo dal Marocco sta per investire la penisola italiana. In prima linea, a combattere contro le fiamme, gli uomini dei Vigili del Fuoco e della Guardia Forestale. Lo fanno, molte volte, a rischio della propria vita in condizioni durissime come dimostrato dalla recentissima polemica che si è aperta sui mezzi forniti dal ministero e rivelatisi non idonei a tutelare dal fuoco. Il caso di guanti e caschi a norma ma non sufficienti a salvare la pelle rischia di diventare un vero e proprio problema per il ministero ma, in questi giorni, più che le polemiche conta il grande lavoro che si svolge per salvare migliaia di ettari a rischio. Il problema riguarda anche il Sud dove numerose aree vengono date alle fiamme. Le Regioni più colpite dal fenomeno sono la Sicilia e la Calabria, dove ai turisti distratti, ai fumatori incoscienti e ai piromani si aggiunge la mano della criminalità organizzata. Eppure proprio nel Sud ci sono aree di eccellenza, come ci viene confermato dal calabrese Mario Falbo, oggi alla guida del Comando dei Vigili del Fuoco di Caserta e già vicecomandante regionale a Napoli e a capo del comando di Torino nei mesi delle Olimpiadi invernali. Incontrato durante la nostra inchiesta sul mondo del lavoro, il Comandante ha confermato che la Campania si conferma come modello positivo e come esempio per tutto il paese nella lotta agli incendi grazie alla forte sinergia che si è creata nel tempo tra i comandi provinciali e le istituzioni del territorio. Non solo, dunque, i forti collegamenti tra Guardia Forestale e Vigili del Fuoco ma anche tra questi ultimi e le amministrazioni provinciali e comunali, le Prefetture, le Forze dell’ordine, circostanza che consente una maggiore incisività negli interventi. Un settore, quello della lotta agli incendi, dove il divario Nord – Sud non è percepito. “A differenza di quanto si può pensare tutto il paese è all’avanguardia nella lotta agli incendi rispetto ai vicini europei – dichiara il Comandante Falbo – il forte clima di collaborazione che si è instaurato tra i vari comandi provinciali, campani ed extraregionali, consente di arrivare sui luoghi degli incendi molto più rapidamente e i rapporti con le istituzioni e con le scuole ci permettono di effettuare una campagna di prevenzione che è, forse, più importante della stessa opera di spegnimento”. Proprio quello della prevenzione è uno dei temi fondamentali recentemente tornato alla ribalta a seguito delle denunce di Legambiente. Gli ambientalisti, dopo i numerosi e pericolosi roghi siciliani, hanno denunciato la scarsa opera di lotta ai cattivi costumi e la mancanza di corsi di buon comportamento nei boschi che rendono dolosi la maggior parte degli incendi divampati sull’isola. Il bilancio provvisorio resta però positivo. Nonostante l’alto numero di roghi segnalati il rapido intervento è, fino ad ora, riuscito ad evitare il peggio nella maggior parte dei casi ma bisognerà attendere la fine del mese per i dati definitivi di questa caldissima estate.

PAOLO LUNA

mercoledì 1 agosto 2012

Il ritorno di De Magistris-barricadero. Querela Realfonzo e annuncia la rivoluzione arancione...


NAPOLI – Due annunci shock nel giro di poche ore. Troppo per il primo cittadino di Napoli che ha parlato alla stampa avvisando il suo ex assessore Riccardo Realfonzo e il suo leader Antonio Di Pietro. Al primo l’annuncio di una querela, al secondo un avviso di sfratto. Andiamo per gradi. Riccardo Realfonzo, è stato per diversi mesi assessore al Bilancio nonché amico personale del primo cittadino. Dopo il suo allontanamento dalla carica il silenzio poi, come nella migliore tradizione, i panni sporchi sono stati portati in piazza, in particolare sulle pagine online del Fatto Quotidiano che ha titolato “Populismo e passerelle, così de Magistris ha tradito la rivoluzione arancione”. Troppo per il Sindaco che ha dato mandato ai suoi avvocati di sporgere querela per diffamazione. Cifra richiesta? Un milione di euro. Secondo il Sindaco si tratta di una lunga serie di falsità. Ma cosa ha detto Realfonso. Si è tolto “soltanto” qualche macigno dalle scarpe. Secondo il suo ex amico assessore Re Luigi si è dedicato soltanto ai grandi eventi e ha rinunciato a risolvere i veri problemi della città, quelli che avevano spinto la maggioranza dei napoletani ad eleggerlo. Ma non è solo una questione di rivoluzione tradita. Il problema è ben più grave visto che Realfonzo gestiva un settore, di questi tempi, delicatissimo, quello del Bilancio. La ricetta dell’assessore discordava da quella del Sindaco e, questo, fin da subito. Per Realfonzo bisognava dichiarare subito dissesto o avviare una politica di ferrea austerità. De Magistris non ha voluto il dissesto ma, per l’amico di un tempo, non ha voluto applicare le norme di austerità necessari. Tra i provvedimenti boicottati o bocciati da De Magistris, secondo Realfonzo, la richiesta di una task force anti evasione, la ristrutturazione degli uffici comunali e la dismissione delle società partecipate fonte di sprechi e disservizi. Un dibattito serrato che si è presto trasformato in una dura lotta che è andata avanti fino a che il Sindaco non ha sfiduciato il suo assessore, cacciandolo dalla Giunta. Dopo l’intervista la querela con una precisazione decisa da parte di De Magistris. “E tutto falso, se fosse vero come mai Realfonzo ha aspettato il licenziamento invece di andarsene e denunciare tutto il mal governo di Napoli?”. Una domanda a cui Realfonzo avrà modo di rispondere nel tempo in cui si dibatterà della causa di diffamazione. Nel frattempo, profittando della situazione, De Magistris ha messo in guardia Giuseppe Narducci, altro assessore fuoriuscito recentemente. Il primo cittadino ha sostenuto che Narducci ha lasciato spontaneamente e non per sfiducia del Sindaco. Una precisazione che sa tanto come di avviso a non esagerare con le dichiarazioni sulla stampa. Come se non bastasse, a distanza di poche ore, il secondo annuncio importante, quello diretto al suo leader. Le liste arancioni si faranno, una in ogni città d’Italia, questo l’intento del primo cittadino di Napoli. Lo ha riferito in una lunga intervista rilasciata al Corriere del Mezzogiorno dove ha parlato di tutti i principali problemi della città. Il movimento arancione si farà per evitare l’esplosione della rabbia popolare nel prossimo autunno che il Sindaco prevede sarà “caldo”. Una eventualità che non è da escludere ma sarà difficile che il movimento arancione potrà “evitare” la rivoluzione o le rivolte che saranno causate dagli ultimi anni di malgoverno di questo paese. Senza considerare il problema del collocamento politico della lista. Antonio Di Pietro, patron dell’Italia dei Valori, è stato, proprio in queste ore, abbandonato dall’alleato in pectore Nichi Vendola che gli ha preferito l’Udc di Casini. Adesso il suo principale competitor interno annuncia la nascita di un proprio movimento, senza considerare che potrebbe trovare il sostegno di altri Sindaci, primo tra tutti il rieletto Leoluca Orlando di Palermo. Una mossa che Di Pietro deve tenere sotto controllo. Il movimento arancione non potrà spaccare in due l’Idv altrimenti Di Pietro rischia di restare fuori dai giochi. A questo punto bisognerà vedere se De Magistris si accontenterà di fondare un movimento per le amministrative e aggregare i suoi sostenitori sotto il gabbiano dell’Idv. Sul punto il Sindaco non ha chiarito e sicuramente su questo ci sarà battaglia prima del caldo autunno che ci aspetta.

FAUSTO DI LORENZO

L'EDITORIALE/ L'Ilva, quando la lotta è dura. Ma non contro il padrone


TARANTO - L'Ilva è il centro siderurgico ex-Italsider, di proprietà del Gruppo Riva, leader del settore in Italia, e quarto in Europa. Come si sa, la presenza dell'Ilva, che è nata all'inizio del novecento, ha reso Taranto una delle città più inquinate d'Europa. “Meglio morire, forse, di tumore che sicuramente di fame” è probabilmente ciò che si son detti gli 8mila operai dell'Ilva di Taranto che hanno manifestato contro il sequestro disposto dal Gip Patrizia Todisco. La chiusura dell'area a caldo interesserebbe, infatti, contando l'indotto, 20mila famiglie. Ma torniamo indietro di qualche giorno: il 26 Luglio, mentre si teneva a Roma, presso il Ministero dell'Ambiente, un vertice che stabiliva una Road Map per un risanamento dell'Ilva che non incidesse sulla produzione, viene disposto dal Gip Todisco il sequestro degli impianti, poiché, secondo le indagini epidemiologiche, l'Ilva causerebbe «malattia e morte». Contestualmente, il ministro dell'Ambiente Corrado Clini dichiarava al Sole24Ore in un’intervista che il giudizio sui rischi connessi all'Ilva andava “attualizzato”. La strada intrapresa dal Governo per quanto riguarda la questione dell'Ilva è stata sempre all'insegna della prudenza: chiudere l'area a caldo di Taranto significa bloccare l'intero stabilimento e conseguentemente anche gli altri, e cioè quelli di Genova, Novi Ligure, Patrica e Racconigi. È facile dunque capire perché la decisione del Gip abbia dato il via alle grandi proteste che continuano in questi giorni. Ma ci sono delle domande che sorgono naturali quando si esaminano le posizioni dei sindacati di categoria: riassumendo, i sindacati (unitariamente) polemizzano perché viene fermata la produzione. Ecco qui la tanto vecchia quanto irrisolta domanda: “Il sindacato deve tutelare il lavoratore o il posto di lavoro?”. Alla domanda è importante rispondere, perché se la risposta è la prima, allora non ci si spiega perché non abbiano in passato protestato per ciò che i lavoratori, e non solo loro, hanno subìto dall'Ilva: sarebbe a dire l'inquinamento che ha portato un eccesso di mortalità della popolazione tarantina ed un'elevata incidenza di patologie croniche. Ma il fatto è che i sindacati preferiscono salvaguardare il posto di lavoro: nel comunicato unitario (firmato da Fiom, Fim e Uilm) vi è un ringraziamento alla dirigenza dell'Ilva e si auspica che il Tribunale del Riesame garantisca l'operatività degli impianti. E poi ancora: “E' giusto prendersela con le Istituzioni e non con i diretti responsabili, ovvero i dirigenti dell'Ilva?”. Qui la risposta pare sospesa. Per Maurizio Landini, segretario generale della Fiom/Cgil: “non è vero che cessando le attività si bonificano e si risanano i ceti produttivi” e ancora “vogliamo fare la cosa più difficile cosa che ci sia da fare in questo momento: ovvero continuare le attività per bonificare e risanare anche le aree”. Viene da chiedersi se questo sia davvero lo stesso Landini che se la prendeva con Marchionne, perché non gli somiglia neanche un po'. Fatto sta che il comunicato delle tre sigle confederali  proclama per il 2 agosto una “giornata di lotta” (contro chi? Non si sa.), attendendo il giudizio del Tribunale del Riesame, che, se la pensa come Clini, farà un grave dietrofront. La situazione probabilmente tornerà uguale a prima. Vince il lavoro? La salute (non) ringrazia.

SALVATORE FAVENZA

Il Giornale del Sud numero 6, le collaborazioni di Dicè e Iannaccone, il sommario e "il dittatore"...


CASERTA - Un numero particolarmente ricco quello che presentiamo in questo caldo agosto. Un numero che vede per la prima volta la nuova testata e una precisazione, che si è resa necessaria dopo alcune insinuazioni poco corrette che ci permettono di sottolineare come il Giornale del Sud non riceve alcun finanziamento pubblico e dunque esce e vive del consenso dei lettori e degli incassi pubblicitari. Un numero che ritarda l’uscita rispetto al previsto per via dell’improvvisa morte del consigliere del Presidente della Repubblica Loris D’Ambrosio coinvolto nelle indagini della Procura di Palermo sui fatti del ’92 come aiuto di Nicola Mancino (ex Ministro degli Interni rinviato a giudizio con altri 11 per falsa testimonianza). Questo evento ci ha costretto, come si dice in questi casi, a “fermare le rotative” per un rapido aggiornamento. Rapido e necessario visto che questo nuovo numero de “il Giornale del Sud” si occupa in apertura proprio dell’indagine di Palermo e, in particolare, dell’atteggiamento di Giorgio Napolitano che ha utilizzato tutti i mezzi a sua disposizione per fermare la pubblicazione e anche l’uso delle intercettazioni delle telefonate sue e dei suoi collaboratori. Tutte telefonate che, a detta dei Procuratori di Palermo, dimostrerebbero la falsa testimonianza di Mancino e il suo coinvolgimento nella trattativa Stato Mafia. Napolitano, per carità, si è comportato in modo legittimo. Ha utilizzato i codici e le norme previste per tutelare sé stesso e i suoi consiglieri e non diciamo il contrario. Contestiamo il modo di fare arrogante e a senso unico. Contestiamo l’opportunità politica di intralciare una delle indagini più importanti degli ultimi 30 anni. Contestiamo il pensiero unico totalitario che si è importo in questo paese al grido del politicamente corretto. Per questo motivo usiamo, a mo’ di iperbole, il titolo dell’ultimo film di Sascha Baron Cohen per fare un bilancio dei sette anni al Quirinale di Napolitano che concluderà il mandato nella prossima primavera, salvo sorprese. Altro tema importante è quello dei fondi “scippati” al Sud a causa di una norma introdotta dalla Lega Nord e avallata dal Sottosegretario allo Sviluppo Economico, il napoletano Guido Improta, vero e proprio modello dell’ascaro che ha appoggiato la richiesta leghista che ha annullato gli effetti pro - Sud del decreto del Ministro Passera, il quale, dal canto suo, tace. Interessante l’intervista all’Ecologista tarantino Fabio Matacchiera che interviene sull’attuale tema dell’Ilva che da decenni rappresenta la dimostrazione più chiara della colonizzazione imperante al Sud. Altro tema che troverete in primo piano su questo numero è quello delle crisi aperte nel Mediterraneo, dalla imminente guerra Turchia – Siria, alle elezioni in Egitto e Libia, dalle proteste spagnole a quelle greche passando dai forconi siciliani che sono nuovamente scesi in piazza nonostante il silenzio dei media. Ma non solo questo. Con molto piacere cominciano a collaborare con il Giornale del Sud Nando Dicè, responsabile del Movimento Insorgenza Civile, e Antonio Iannaccone, del Fronte di Liberazione della Napolitania, autori di due editoriali che affiancano il nostro editorialista “storico” Michele Furci. Gli editorialisti, che ci auguriamo saranno i primi di una lunga serie per dimostrare la profonda attenzione de il Giornale del Sud verso il meridionalismo nelle sue diverse accezioni, sono affiancate dal lavoro di numerosi collaboratori che, in questo numero si occupano del Meccanismo “Salva Stati”, della Summer School organizzata dai Maestri del Lavoro (durante la quale ha giocato un ruolo attivo il Giornale del Sud), del fallito golpe tecnico in Sicilia, della proposta che vuole Pino Aprile leader di una lista meridionalista alle prossime elezioni politiche, delle discriminazioni olimpiche del Sud, del Napoli che punta sui giovani e di tante altre notizie e curiosità che, ci auguriamo, possano accompagnare un sereno agosto. Buona lettura e grazie per aver scelto la vera informazione per il Sud! 

La direzione



Vendola apre all'Udc e scarica Di Pietro. C'entrano qualcosa le inchieste pugliesi?

Vendola, Bersani e Di Pietro nell'ormai passata foto di Vasto

BARI - Il boato sembra forte. Un vero e proprio terremoto che distrugge l’unico asse della politica italiana che sembrava inossidabile e infrangibile, quello tra Antonio Di Pietro e Nichi Vendola. Invece, follia agostana, l’incanto è finito. Più che un boato però, l’apertura al centro verso Casini, più che un terremoto è un piccolo petardo, almeno per il momento. Le parole di Vendola non chiudono la questione. Da una parte c’è il rincrescimento per la rottura e dall’altro un attacco preciso a Di pietro accusato di propagandiamo populista: “A me spiace molto ma le sue continue polemiche e il suo propagandiamo rischiano di portarlo alla deriva. Di Pietro e l’Italia dei Valori hanno fatto la loro scelta, mi pare abbiano preso ormai la loro strada” ha dichiarato Vendola. Non si capisce molto bene quale sia la strada intrapresa da Di Pietro e dall’Idv visto che, fino a ieri, il leader maximo di Montenero di Bisaccia, faceva conto principalmente sul Governatore pugliese per avere una sponda sicura in vista delle elezioni del prossimo anno. Forse non sono piaciute al leader di Sinistra e Libertà le uscite “grilline” di Di Pietro o le posizioni anti-Quirinale sul caso D’Ambrosio. Le dichiarazioni di Vendola sembrano aver rotto i ponti, ma il ponte gettato verso Partito Democratico e Unione di Centro non è molto stabile. Al di là del nome che Vendola ha pensato di dare alla futuribile coalizione “Polo della Speranza” c’è ben poca speranza che le cose possano concretizzarsi. Il problema è quello programmatico che da venti anni divide il grosso dei cattolici dal fronte riformista. “Sel è disponibile a lavorare con il Partito Democratico per costruire la coalizione del futuro. Quanto all’Udc occorre essere chiari: se si è d’accordo nel superare le politiche liberiste delle destre, se si vogliono difendere i diritti sociali e l’equità sociale, se si vogliono difendere i diritti delle coppie di fatto e gay sono tutti benvenuti”. La proposta politica di Vendola difficilmente attrarrà l’Udc e molti sono i dubbi circa le vere motivazioni che hanno spinto il Governatore pugliese a sbilanciarsi verso questa mossa. A questo punto vale la pena avanzare delle ipotesi. Potrebbe darsi che Vendola si è finalmente persuaso che solo un accordo con i moderati allontanerebbe per sempre lo spauracchio di Berlusconi. Potrebbe darsi che sia semplicemente una mossa di Bersani per indurre alla ragione Di Pietro. Potrebbe trattarsi di una manovra del leader di Sel per scoraggiare Casini e riportarlo tra le braccia del Pdl (o di come si chiamerà) per facilitare una alleanza tutta di sinistra. Oppure potrebbe darsi che il nuovo asse Udc-Pd-Sel salverebbe il Governatore dai guai giudiziari in cui la magistratura pugliese ha “precipitato” Vendola, soprattutto a causa degli scandali del comparto sanitario regionale. La magistratura pugliese è molto sensibile alle opinioni dell’ala dalemiana del Pd di cui è primo interprete l’ex magistrato e Sindaco di Bari, Michele Emiliano. Chi ha dimenticato le famose scosse preannunciate da D’Alema su Rai tre a Fabio Fazio cui fece seguito, dopo poche settimane, l’inchiesta sulle escort e Berlusconi? E chi ha dimenticato che Emiliano punta dritto come un treno a sostituire Vendola sulla poltrona di Governatore della Puglia? E chi ha dimenticato che ai primi screzi tra Vendola ed Emiliano sono seguiti gli avvisi di garanzia contro la giunta regionale? Nessuno, credo. Allora una soluzione politica che riportasse Vendola in parlamento, magari al Governo con tanto di immunità e lasciasse libera la poltrona di Governatore potrebbe fare comodo a tutti. Poco importa se ci rimetterà le penne il Di Pietro alla deriva che, abbandonato anche da Beppe Grillo, vive con la minaccia della lista “arancione” di De Magistris.

FAUSTO DI LORENZO

martedì 31 luglio 2012

Sicilia, Lombardo si dimette. Cronostoria di cinque anni di (pessima) politica siciliana


PALERMO – E’ ufficiale e definitivo. Il Governatore della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo, si è dimesso e ha lasciato campo libero alle elezioni amministrative che si terranno entro il mese di Ottobre. La decisione era già stata ampiamente annunciata ed era arrivata dopo una discutibilissima gestione politica degli affari siciliani. Il punto di svolta era stato il “ribaltone” che aveva portato all’estromissione del centrodestra dal Governo regionale e all’arrivo del Partito Democratico a far da supporto al Governo di Palazzo dei Normanni. Correva l’anno 2008. Il 15 febbraio viene ufficializzata la sua candidatura alla guida della regione. E’ il leader del Movimento per le Autonomie che, alleato del Popolo delle Libertà e dell’Unione di Centro, conquisterà la poltrona di Presidente a scapito della candidata del Partito Democratico, Anna Finocchiaro. Compito impossibile quello della Finocchiario. Era l’anno di Berlusconi, che era tornato in sella a Palazzo Chigi dopo due disastrosi anni di Governo Prodi. Tanto era sicura di perdere che la sera dei risultati, il 14 aprile, era a Roma accanto al Segretario del Pd Walter Veltroni che, in diretta nazionale tracciava il bilancio della sconfitta generale del centro sinistra. La vittoria con il 65% dei voti non si è tradotta in buon governo e nemmeno in stabilità. Quattro i Governi che Lombardo ha prodotto in nemmeno cinque anni. Un anno dopo pensò bene di risolvere i contrasti con l’Udc cacciando gli uomini di Casini. Nel 2009 Lombardo diventa il paladino di tutti, o quasi, i meridionalisti. Novello Masaniello (ogni due per tre in queste regioni del Sud il Lombardo di turno diventa la speranza e il perfetto condottiero, sempre a scadenza!), prende le distanze dal Governo Berlusconi che non rispetta il Sud e non risana il divario tra il Nord e il Sud del Paese. Il MpA non vota la fiducia al Governo e si apre la crisi. Le quotazioni “meridionaliste” di Lombardo invece crescono. Ci sono anche presidenti di associazioni e movimenti cultural-politici che si richiamano alla vera storia del Sud che si candidano alle competizioni locali sotto il simbolo del gabbiano lombardiano. Oggi quel passato è meglio (anche se è difficile) nasconderlo. La crisi con Berlusconi si acuisce e si apre la crisi interna al Pdl Siciliano. Il Pdl è scontento di Lombardo e ne approfittano altri due “campioni” della coerenza politica: Gianfranco Miccichè e Gianfranco Fini. Miccichè è soddisfatto perché lo strappo è la dimostrazione di quanto Lombardo sia inaffidabile e di quanto abbia sbagliato Berlusconi a candidarlo al suo posto alla guida della Regione. Fini è lieto di creare problemi a Berlusconi. Così i seguaci di Miccichè e Fini nel Pdl creano un nuovo gruppo in regione “Pdl Sicilia”. Il Pdl che fa capo ai vertici nazionali (Alfano, Schifani e Nenia) si dissociano e votano contro il Documento di Programmazione Economica e Finanziaria (DPEF) del Governo Lombardo il quale, senza troppi complimenti, passa alla terza giunta cacciando il Pdl “nazionale” e alleandosi nuovamente con Udc e i dissidenti di Fini e Miccichè. La rissa tra finiani e uomini di Miccichè arriva in meno di un anno. Fini esce dal Pdl e fonda il Fli, oggi soggetto politico in via di decomposizione (non che nel 2010 fosse stato meglio in salute!), Miccichè crea il nuovo partito Forza del Sud che si dissocia da Lombardo. Risultato? Quarto Governo Lombardo, questa volta di largo respiro con l’arrivo del Partito Democratico che, tra la perplessità di tutto il mondo politico, flirta con Lombardo che fino a tre mesi prima era considerato un mafioso alla stregua di Totò Riina. Insieme a Mpa, Fli e Pd, ci sono anche l’Udc (tranne gli uomini di Saverio Romano e Totò Cuffaro, ex Governatore poi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa) e l’Api di cui è leader Rutelli che aveva abbandonato da poco il Pd. Questa la maggioranza che ha guidato nell’ultimo anno e mezzo la Sicilia. L’addio del Pd ha segnato la fine di Lombardo. Fin qui la storia politica dell’ultimo quinquennio. Ma la Sicilia, la bella e ricca Sicilia, come è stata in questi ultimi cinque anni? Male, sostengono molti anche se ha tutti i numeri per aggrapparsi alla ripresa. Non si spiegherebbe altrimenti il tentativo dei tecnici di commissariare il Governo dell’Isola, recentemente proposto dal Presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello e accolto dal Presidente del Consiglio Monti. Tentativo che è fallito a causa del miliardo di credito che il Governo siciliano vanta verso Roma e che Lombardo ha richiesto con solerzia nelle ultime due settimane costringendo Monti ad una frettolosa ritirata. Eclissata l’opzione commissariamento le dimissioni di Lombardo sono arrivate. Ora a settembre si contenderanno la poltrona almeno cinque candidati. Quello di Sinistra e Libertà, Claudio Fava, di Forza del Sud, Gianfranco Miccichè, e del Movimento dei Sindaci, Nello Dipasquale, sono già in campagna elettorale. Ancora da ufficializzare i nomi di Pdl e Pd (con l’incognita Udc) e quello del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo che potrebbe giocarsi una bella partita in vista delle prossime politiche. La Sicilia è diventata ufficialmente terreno di scontro ma anche un laboratorio per capire quale sarà il futuro dell’isola e del paese.

FAUSTO DI LORENZO


Salva Stati, la Germania dice no (e vince, di nuovo, su tutti i fronti)


BERLINO – “Deutschland siegt an allen fronten”, la Germania vince su tutti i fronti, era la scritta apposta dalle truppe di invasione tedesche sulla Tour Eiffel e sul Palazzo Borbone di Parigi (sede della Camera dei Deputati della Repubblica). Una frase che ha pesato come un macigno sulle teste dei parigini e dei francesi. Una offesa dopo la sconfitta e un monito a non muovere un dito contro la nuova situazione che si era creata. Oggi, ma in realtà già da qualche settimana, quella frase potrebbe risuonare nuovamente in ogni capitale europea perché la Signora Merkel, Cancelliera Tedesca dal 2005 (fino al 2009 in coabitazione con i socialisti), detta regola e legge per tutta l’Unione Europea nell’indifferenza generale. L’ultima nota arrivata da Berlino pone fine a mesi e mesi di discussione e dimostra, ancora una volta, quanto quello di Mario Monti sia, sempre di più, un fallimento. E’ stato il Ministero delle Finanze ha stoppare l’ampiamento dei poteri per lo Sme, il cosiddetto fondo “salva Stati”, che, nelle intenzioni di Monti e dei suoi tecnici, avrebbe dovuto salvare gli stati in difficoltà. Per rafforzare il salva Stati si era chiesto di approvare una licenzia bancaria per il fondo in modo da poter acquistare in modo illimitato le quote del debito nazionale. La Germania, economicamente più solida di Grecia, Italia, Spagna e Portogallo, non ne vuole sapere di farsi carico del loro fardello debitorio e taglia le gambe allo Sme. Fortunatamente, ci viene da dire, visto che lo Sme prevede la possibilità per l’Ue di commissariare gli stati a prescindere dalla volontà popolare, ovvero a prescindere dalle norme democratiche interne in fatto di elezioni e amministrazione. Mario Monti, per evitare il tracollo completo è volato a Parigi dove, in un bilaterale con Hollande, ha tentato di stringere un asse con la Francia per la salvezza dell’euro. Purtroppo per lui il cartello che annuncia la vittoria tedesca, rischia di essere innalzato anche su Parigi.

PAOLO LUNA


Riqualificazione del litorale, Salerno si candida per 80 milioni di euro


SALERNO – Il Sindaco batte cassa e presenta all’Unione Europea un piano di recupero della litoranea da 80 milioni di euro. Una somma importante per un’opera necessaria e non più rimandabile. La messa in sicurezza della costa salernitana da Santa Teresa al Picentino per restituire dignità ad un’area che, nei disegni dell’amministrazione comunale, dovrebbe diventare uno dei poli d’attrazione della città. Vincenzo De Luca non è nuovo a progetti impegnativi per la città. Strade e piazze completamente rinnovate, pulizia, igiene, sicurezza e decoro, questo il programma politico messo in atto dal primo citadino che è arrivato al quarto mandato inanellando una lunga serie di incarichi e successi politici. L’impresa non è da poco. L’Unione Europea, a partire dal 2007 ha ridotto i soldi destinati alle aree occidentali e centrali dell’Ue, per dirottare parte dei fondi verso i paesi dell’Est Europa appena entrati nell’Unione. Attualmente sono 20 i finanziamenti riservati alle città italiane dai bandi pubblicati dalla Commissione Europea e per ottenerli c’è bisogno di progetti qualitativamente e quantitativamente all’altezza. Obiettivo dell’amministrazione comunale è quello di sviluppare un nuovo turismo balneare garantendo una buona offerta di servizi e attività con mare e fascia costiera pulita grazie all’utilizzo di una barriera protettiva come già realizzato in via Leucosia. A settembre la presentazione del progetto e ad autunno inoltrato il verdetto di Bruxelles.

red. cro.



Politica e sondaggi. De Magistris il più amato ma restano i dubbi sul metodo e sulla lista "arancione"



NAPOLI – Gli ultimi sondaggi ringalluzziscono Luigi De Magistris, Sindaco di Napoli, il più amato secondo una rilevazione trimestrale raccolta da Datamonitor. De Magistris è il primo con il 65,2% dei consensi lasciando dietro di lui Piero Fassino al 61% e Matteo Renzi, al 58,4%. La rilevazione Datamonitor fa tornare a discutere della famosa lista arancione con cui il primo cittadino di Napoli potrebbe essere capolista e che potrebbe essere presentata già alle prossime elezioni politiche. Non a caso la rilevazione Datamonitor premia anche Michele Emiliano che registra un quinto posto con il 55,1% dei consensi. Questo quello che emerge da una rapida lettura della stampa. In realtà le cose stanno diversamente. Il sondaggio Datamonitor, non è propriamente indicabile per delineare una strategia politica di livello nazionale. Ogni tre mesi gli uomini di Datamonitor raccolgono 800 interviste telefoniche nelle dieci maggiori città italiane per ottenere informazioni sul consenso dei rispettivi sindaci. Con tutto il rispetto per il lavoro svolto, 800 persone su oltre 900mila abitanti, non rappresentano certo un dato statistico affidabile. Poco importa per i politici coinvolti che, complice la stampa silenziata, possono cantare già vittoria ed essere indicati come il futuro per il Paese. Il Sindaco di Napoli canta vittoria e sostiene la necessità della lista civica nazionale. Non con Fassino e Renzi, con cui vede differenze politiche sostanziali, ma con altri Sindaci come il barese Emiliano, il palermitano Orlando (suo collega di partito), e ancora con Pisapia (Milano), Zedda (Cagliari) e Speranza (Lamezia Terme). Una lista che, con molta probabilità, andrà ad affiancarsi a quella dell’Italia dei Valori e di Sinistra e Libertà, visto che l’asse Di Pietro – Vendola pare essere la prima e (almeno per il momento) unica certezza in vista delle elezioni politiche del 2013.

MAFALDA CROCITTI

CULTURA / Museo Madre, il bando internazionale per il post Cicelyn


NAPOLI – Sta per cambiare il vertice del Museo d’Arte Contemporanea di Napoli, noto come Madre, a seguito del licenziamento di Eduardo Cicelyn, che ha gestito l’istituzione negli ultimi 6 anni. Il Madre è la dimostrazione di come la cultura può diventare terreno di scontro. Cicelyn venne scelto nel 2006 dall’allora Governatore della Campania Antonio Bassolino che si giovò della facilità nella scelta grazie alla cosiddetta “filiera istituzionale” tra Regione, Provincia e Comune (tutte amministrate dal centrosinistra con Bassolino, Riccardo Di Palma e Rosa Russo Iervolino). Considerato un bassoliniano di stretta osservanza, Cicelyn ha gestito il Madre ma è stato licenziato pochi mesi fa a seguito di numerose polemiche piovute sulla Fondazione Donnaregina, che gestisce il Madre e di cui Cicelyn era Direttore, a causa dei conti del museo in rosso e dello stipendio troppo alto a lui riservato. Il nuovo “corso” politico in Campania ha fatto il resto. Il nuovo Governatore Stefano Caldoro ha messo nel mirino dell’azione di smantellamento del bassolinismo il Madre e il suo direttore. L’elezione a Sindaco di Napoli di Luigi De Magistris ha concluso la nuova “filiera anti Bassolino” così il Cda del Madre (di cui è azionista di maggioranza l’ente Regione) ha cambiato lo statuto del museo portando alle dimissioni di Cicelyn. I direttori del museo venivano scelti dal Cda (ovvero dal suo azionista di maggioranza) mentre con la nuova modifica c’è bisogno di un concorso internazionale, la nomina è per 5 anni che possono essere (a discrezione del Cda) rinnovabili una sola volta. Fatta la legge, la testa di Cicelyn è rotolata lungo le scale del Madre. Per lui già si è parlato della direzione della Fiera di Bologna mentre il museo napoletano sta per trovare un nuovo direttore. Il 6 ottobre scadranno le domande che i candidati potranno presentare e il Cda sceglierà il nuovo responsabile. A lui toccherà risolvere i problemi economici dell’ente culturale, uno dei poli attrattivi della capitale del Sud, a cui la Regione ha destinato fondi aggiuntivi per consentire di superare agilmente i problemi relativi ai debiti pregressi e rilanciare la progettualità 2012-2013. Resta un solo interrogativo. Sarà una gestione all’altezza e imparziale quella post Cicelyn o si tratterà del solito cambio della guardia politico? Ad ottobre la sentenza.

red. cult.

Pippo Baudo non si arrende. Non sarebbe meglio una onorata pensione?


CATANIA – Il ritorno è audace, senza dubbio. Pippo Baudo, l’uomo buono per tutte le stagioni (finalmente) messo a riposo da “mamma Rai” non ce la fa proprio a stare lontano dal video. Le ultime uscite del Pippo Nazionale non sono state proprio brillantissime. Stantii varietà senza un vero scopo, domeniche pomeriggio sempre uguali e poco interessanti, molti ospiti d’eccezione (per niente eccezionali), molta musica (anche questa d’annata). Il ritorno in prima serata con il maxi polpettone celebrativo dei 150 anni dell’Unità d’Italia è stata la sua ultima apparizione. E chi non ha visto quella trasmissione, “centocinquanta”, condotta in tandem con un altro pilastro del politicamente corretto (molte volte sciapito): Bruno Vespa. Due meridionali per intonare il “pater, ave e gloria” all’Italia una e indivisibile. Operazione culturale da regime che non ha sortito alcun effetto, sfiorando appena il cuore dei telespettatori che si sono esibiti in un colossale esodo da Rai uno agli altri canali tv. Un esodo che ha portato alla chiusura della trasmissione-polpettone dopo 4 puntate a fronte delle 7 previste. Da allora niente più si era saputo del Pippo nazionale a parte le fugaci apparizioni ai telegiornali per commentare i funerali di amici e noti dello spettacolo, l’ultimo quello di Lucio Dalla. A parte questo, il solito tour tra festival ed eventi celebrativi di un mondo, quello della tv, in piena decadenza. Proprio grazie ad uno di questi appuntamenti, il “Riano Festival delle Cave”, Pippo, Pippo è tornato. Lo ha fatto con una dichiarazione che merita un commento, dopo aver ricevuto il premio “Fior di Tufo”. A pubblicare questa perla dell’informazione il Corriere della Sera che ha stupito tutto il beau monde televisivo e giornalistico con lo scoop. Pippo Baudo è stato sedotto, udite, udite, da Sharon Stone. Incredibile ma vero. La bella attrice di Basic Instinct, rapita dalla finta chioma del Pippo nazionale, lo ha messo alle strette quando, un giorno (così l’ha raccontata il presentatore) era andato a trovare la Stone in albergo. Lei si era fatta trovare distesa sul letto solo con gli slip addosso. Si è alzata dal letto, ha afferrato gli occhiali dello stupito Baudo, li ha puliti e gli ha detto: “Look me” (guardami). “Solo a quel punto ho capito che avevo perso un’occasione” ha dichiarato il conduttore lasciando supporre che da vero gentleman, o da vero fesso, aveva fatto un silenzioso dietro front. Questo il racconto di Baudo. La Stone non ha confermato né smentito. Probabilmente non sa neanche di questa esternazione. Ne rendiamo conto non per pruritismo ma per sottolineare a cosa può arrivare un malato di notorietà quale Baudo è. Sono venti anni che, malgrado l’avanzare inarrestabile di giovani conduttori ed età, si arrabatta in ogni modo per restare sulla cresta dell’onda. Passaggi di rete, nuove trasmissioni, sogni politici democristianissimi, cambi di look, mezze malattie smentite, divorzi in ultima età, nuovi amori e ora, dichiarazioni su un passato che nulla interessa la platea televisiva e che sembrano solo uno squallido tentativo di restare a galla. Non sarebbe meglio una sana rassegnazione e una dignitosa uscita di scena?

FABIO RUSSO


giovedì 26 luglio 2012

Cultura/ L'arte di Joli in mostra alla Reggia di Caserta fino ad Ottobre



CASERTA - Fino al 14 Ottobre 2012 alla Reggia di Caserta si può assistere ad una grande esplosione artistica: l’esposizione delle opere di Antonio Joli. La mostra prende in considerazione il periodo della maturità dell’autore dal 1749 al 1777, quello dell’attività madrilena e in seguito quello presso la corte borbonica napoletana. L’esposizione è divisa in quattro sezioni: la prima è dedicata alla permanenza in Spagna presso la Corte di Ferdinando VI di Borbone dove opera alle dipendenze di Farinelli, il noto cantante castrato; la seconda sezione è dedicata alla parentesi partenopea con la raccolta di vedute della città e dei dintorni; la terza sezione è dedicata a quei dipinti realizzati come scenografie a Napoli ed è quindi molto facile notare attinenze con opere liriche messe in scena in quel periodo; infine l’ultima sezione mette in risalto il legame di Antonio Joli con la città di Roma che fu per lui un’importante fonte d’ispirazione considerando i numerosi paesaggi della capitale dipinti.
Senza dubbi le numerose vedute e i dipinti riescono magicamente a condurre l’osservatore nel luogo disegnato, si diventa all’improvviso parte della scena, si iniziano a conoscere tutti i personaggi raffigurati che sembrano quasi vivi, così piccoli in prospettiva ma che caratterizzano e determinano l’unicità dell’opera e soprattutto la rendono profonda. Si possono riconoscere luoghi che sempre hanno fatto parte della vita di ognuno di noi o luoghi visitati da semplice turista ma sono sempre visti diversamente, con un’altra luce che li rende decisamente molto più speciali. Si riesce  a percepire la maestria dell’artista considerando anche il fatto che dipinse numerose scene per quanto riguardava le rappresentazioni teatrali. Anche il passaggio tra una città e l’altra, durante i vari periodi della sua vita, traspare in maniera precisa dalla disposizione delle opere ed è assolutamente evidente il legame che può avere avuto l’artista con ogni città rappresentata grazie ai dettagli ai quali spesso non ci si fa caso ma che rendono unica ed importante tutta la produzione artistica di Antonio Joli. Le architetture sono dipinte con una tale accuratezza da sembrare dei veri e propri personaggi che dominano senza dubbio la scena rendendo quei paesaggi e vedute dei veri e propri capolavori. Questo è l’effetto che l’eccellente Antonio Joli ha saputo trasmettere con il suo operato.

MARTINA DRAGONE

America's Cup, dopo l'apertura delle indagini Insorgenza Civile esulta



NAPOLI – Doppia preoccupazione per De Magistris e Caldoro, così come doppia l’inchiesta aperta per la regata internazionale dell’America’s cup, tenutasi lo scorso aprile nel capoluogo campano.  La manifestazione ha lasciato dietro di sé un’ondata di entusiasmi ed emozionanti ricordi, ma non è riuscita a scansare la corrente inarrestabile di polemiche e denunce su presunte irregolarità nelle spese e nella violazione di leggi urbanistiche che l’avrebbero interessata. Gare d’appalto, controlli sui fondi europei erogati per la regata sono stati i temi denunciati da diversi esposti rilasciati agli uffici giudiziari da anonimi cittadini ed associazioni. Già negli scorsi giorni si sarebbe proceduto alla requisizione di dati e documenti da palazzo san Giacomo, dagli uffici della Regione e dell’Acn, società di scopo “America’s cup Napoli”, fondata da Paolo Graziano, presidente dell'Unione Industriali campani, e Regione Campania, Comune e provincia di Napoli, per aggiudicarsi i diritti nell’ambito delle preselezioni della regata. Le inchieste investono due ambiti. La prima, supervisionata dal procuratore aggiunto Nunzio Fragliasso, è relativa a presunti illeciti sulla tutela dei beni ambientali circa la risistemazione del lungomare Caracciolo, per l’inserimento dei due baffi di scogliera immessi proprio in vista della gara, e la pavimentazione di corso Vittorio Emanuele. La seconda inchiesta riguarda reati di pubblica amministrazione ed è coordinata dal procuratore Francesco Greco. Quest’ultimo fascicolo mira ad accertare illeciti sulla gestione e lo sblocco dei 22 milioni di fondi europei rilasciati dalla Regione. Diversi esposti sono stati presentati anche da svariate associazioni, come l’Alpi, Associazione lotta alle piccole illegalità, la quale ha attaccato i 10 milioni versati per i diritti sulla manifestazione rispetto a quanto rilasciato dalle altre città, senza risparmiare i fondi e la loro cattiva gestione. Non è stato da meno il movimento di Insorgenza Civile, il quale ha sviluppato, ancor prima dell’evento, un dossier dal titolo “America’s Pacc” circa i punti deboli dell’organizzazione e i mancati guadagni. Problemi presentati sottoforma di quesiti tecnici e politici, a partire dall’atto fondativo dell’Acn fino alla visura Camerale di Jumbo Grandi Eventi, la società che ha avuto in appalto gli interventi cittadini. Anche qui vengono poste domande circa i fondi Fesr europei, quei famosi 22 milioni di euro erogati per l’evento e che non avrebbero portato i benefici promessi. Non sono stati utilizzati nell’ambito della spesa pubblica in materia di occupazioni durevoli, istruzione e salute. Contestati anche i meriti riconosciuti all’evento che non avrebbe portato, come sperato, quell’ondata di sollevamento economico per i numerosi commercianti. Vuoti gli alberghi, come inopportuni quegli stand che avrebbero pubblicizzato solo una parte dei prodotti tipici campani, e altrettanto strane le ripartizioni tra le istituzioni delle spese circa l’acquisizione di diritti miranti ad ospitare l’evento. Incongruenze sulla delibera regionale in cui si stanzia il finanziamento prima del perfezionamento della destinazione dei fondi stessi. “Non capiamo perché la magistratura  debba intervenire a risanare i danni fatti a spese dei cittadini. – dichiara Nando Dicè, presidente del movimento “Insorgenza civile” – Se la magistratura è un ordine di controllo ci aspettavamo che il nostro dossier fosse preso in considerazione già prima”. Non sembra di certo soddisfatto dell’apertura delle due inchieste, forse amareggiato del sistema di giustizia italiano che stenta ad essere operativo da subito. Rabbia e dissapori su quei fondi che sicuramente avrebbero potuto risanare vuoti consistenti nella gestione sociale: “Non possiamo permetterci di buttare dalla finestra fondi che sarebbero serviti per l’occupazione, la salute, l’istruzione, cioè tutto ciò che è spesa pubblica, soprattutto di fronte agli ultimi provvedimenti e tagli presi da Monti”. Riguardo le aspettative delle inchieste, continua Dicè: “Gli insorgenti hanno scarsa fiducia. Non ci aspettiamo nulla, perché se la magistratura costituisce un organo di giustizia, ci aspettavamo di vedere in galera Bassolino per almeno due giorni. È il solito gioco italiano, si crea il danno, si fanno commissioni d’inchiesta ma alla fine i colpevoli non pagano mai. Le due inchieste individuano i problemi, ma i colpevoli non pagheranno”. L’amarezza resta, come anche la sfiducia che contraddistingue l’italiano, preso dal rancore e dal rammarico che il sistema politico ed istituzionale sia messo sotto inchiesta sempre troppo tardi.

FRANCESCA CAMPAGNIOLO

lunedì 16 luglio 2012

Eolico e malaffare, un binomio sempre più frequente


PALERMO - Tangenti per parchi eolici e infiltrazioni camorristiche, ecco ciò che si fa per salvare l’ambiente con energie rinnovabili. A Palermo la procura indaga su un gruppo aziendale che ha sede ad Alcamo. Le indagini sono partite dalla denuncia di un imprenditore nel campo del fotovoltaico che ha capito che solo in cambio di denaro le sue pratiche potevano essere sbloccate. Infatti, non riuscendo mai ad avere l’autorizzazione per la costruzione degli impianti, ha denunciato il fatto. Gli investigatori hanno accertato che il meccanismo delle tangenti era del tutto usuale e hanno inoltre scoperto che tutto era legato alla disinstallazione delle mine nel territorio, pratica molto costosa che pero poteva essere evitata grazie all’aiuto del denaro: la mazzetta. A Catanzaro sono 31 le persone indagate in seguito al sequestro di 350 milioni di euro del parco eolico “Wind farm Isola Capo Rizzuto”, considerato uno fra i più grandi d’Europa, proprio per aver favorito le operazioni illecite del clan Arena. Le indagini si sono avviate grazie ad un’inchiesta relativa alla presunta gestione sia della realizzazione che del funzionamento dell’impianto da parte della cosca degli Arena. Certamente sono tanti i dubbi anche in merito al rilascio delle autorizzazioni per la costruzione del parco da parte della Regione Calabria. Per evitare appunto collegamenti con la cosca Arena si sono avvalsi di una fitta rete di società estere che fungevano quindi da prestanome, ciò ha portato all’interessamento di svariate autorità giudiziarie straniere. Purtroppo ciò che emerge è l’ingombrante presenza dell’illecito in qualsiasi campo dove sia possibile reperire denaro, ciò che appunto rende forte la camorra. Le energie rinnovabili dovrebbero essere alla base della nostra società tecnologia invece ciò crea le basi della criminalità organizzata e dell’illegalità scoraggiando la popolazione che si vede truffata su ogni fronte. Il bilancio della situazione non è dei migliori anzi, ma si spera sempre in un mondo meno contaminato sia dall’inquinamento che dall’illegalità. 

MARTINA DRAGONE


Sono 8800 i beni sequestrati alla mafia ma il problema è il loro riutilizzo


NAPOLI – “La storia ci insegna che la confisca è uno strumento vincente poiché consente di aggredire le mafie nei punti nevralgici che testimoniano il loro potere: la ricchezza e la capacità di offrire lavoro.  Rimettere nel circuito sociale e produttivo un bene che un tempo apparteneva a cosche o clan è un chiaro segnale di forza solidale nei confronti della comunità locale che è stata, a suo tempo, privata della libertà a causa della violenza criminale e che adesso può essere risarcita e ritornare alla normalità”. Così Umberto di Maggio, referente di Libera Regione Sicilia, racconta la sua esperienza nel campo della lotta alla criminalità organizzata e del riutilizzo dei beni confiscati alle mafie. Sono circa 8800 i beni confiscati nelle Regioni di Campania, Calabria e Sicilia e molteplici le associazioni che si occupano della loro gestione. Dai dati elaborati, la Sicilia è la prima regione d'Italia per numero di immobili ed aziende confiscate

Campania
Calabria
Sicilia
1821
1720
5251

Non vi è una legge univoca che tratti il riutilizzo dei beni confiscati e questa è la mancanza legislativa più seria e più grave. Dai dati elaborati infatti si evince come a seconda del luogo in cui il bene confiscato, cambia la tipologia del riutilizzo. Per quanto riguarda le Provincie siciliane parte degli appartamenti confiscati viene utilizzata per la realizzazione di alloggi da destinare ai pazienti in attesa di trapianto o già trapiantati ed ai loro familiari, la restante parte per attività rieducative e della formazione dei giovani. Così come per la Sicilia, stesso discorso vale per la Campania e la Calabria, dove le attività commerciali, e gli edifici vengono riutilizzati o dal comune di appartenenza per istallarvi reparti operativi delle forze dell'ordine o date in gestione alle associazioni. Tutte e tre le regioni sono accomunate dall'elevato numero di proprietà agricole confiscate: In Sicilia ad esempio, numerose associazioni hanno contribuito a rilanciare le terre non solo attraverso il riutilizzo, ma proprio anche con dei percorsi sociali: “E' il caso delle diverse cooperative sociali agricole nate nel corleonese ed afferenti al progetto Libera Terra che da più di 10 anni costituiscono un'importante realtà produttiva del territorio - spiega Di Maggio -  Il successo di tali imprese sociali si misura sopratutto nella capacità di coinvolgere i produttori del luogo che, rispecchiandosi nei contenuti del disciplinare di produzione, promuovono solidalmente percorsi etici di gestione d'impresa. Tali percorsi consentono di lanciare chiari segnali alla collettività nella direzione della legalità e dello sviluppo partecipato tant'è che sono sempre crescenti le richieste di lavoro e di partecipazione alle attività delle stesse cooperative”. Anche in Campania vi sono numerosi esempi di riutilizzo dei terreni agricoli: famosa ormai se non in tutto il mondo, sicuramente in Italia la “mozzarella della legalità” o il “pacco alla camorra” che sono tutti alimenti prodotti su questo tipo di terreni. Grazie al lavoro costante delle varie associazioni, oggi è possibile vedere con molta soddisfazione come molti beni confiscati siano stati trasformati in luoghi di aggregazioni compresi esercizi commerciali e centri per il recupero di tossici e molto altro ancora. Insomma da luogo di barbarie e spesso di sangue, oggi si assiste ad una vera e propria evoluzione fino al risultato oggi ottenuto. Questo risultato brillante, tuttavia, non sempre è stato ottenuto con tanta facilità come si può pensare. A compromettere o meglio, a rallentare il lavoro dei volontari, si sono messi sia la stessa criminalità organizzata (ansiosa di recuperare i beni sequestrati o interessati soltanto a distruggere le attività sociali create) che anche, sfortunatamente, gli enti pubblici con una opprimente burocrazia. Come ormai ben noto a tutti coloro i quali si occupano di questo settore, i beni, una volta confiscati, vengono bruciati. Gli operatori si trovano così difronte a muri neri, senza illuminazione, finestre rotte. La sola forza di volontà, il coraggio che da sempre li accompagna e li contraddistingue, fa sì che questi possano renderli agibili e pronti per il riuso sociale e quindi per ridarlo alla cittadinanza. I referenti regionali di Libera – Geppino Fiorenza per la Campania, Umberto Di Maggio per la Sicilia - hanno evidenziato come uno dei problemi che più affligge la confisca dei beni è quello delle ipoteche bancarie. “In molti casi con troppa facilità sono stati concessi dalle banche mutui a persone legate direttamente o indirettamente ai clan. Molto spesso non sono state adottate le necessarie misure di controllo” spiega Fiorenza.
Uno dei maggiori problemi che più colpisce le associazioni del ripristino e recupero dei beni è l'assegnazione del bene. Questo tema trattato ampiamente dalle varie trasmissioni tv dopo la proposta del ministro Cancellieri, la quale preponeva la vendita dei beni confiscati. Molti sono i contrari alla vendita del bene: il delegato di Libero per la Campania ci spiega che la sua contrarietà deriva dalla possibilità della riacquisizione del beni degli stessi mafiosi tramite prestanome. Aggiunge però che “In alcuni casi, come per le aziende, la vendita è anche possibile con tutte le garanzie del caso, ma deve essere solo una soluzione residuale e non può essere generalizzata”. Una  spiegazione non del tutto diversa ce la fornisce invece il dott. Di Maggio il quale dice che “Tralasciando i palesi rischi di riacquisizione delle strutture da parte dei vecchi proprietari, l'idea della dismissione testimonia, forse, l'arrendevolezza dello Stato nei confronti delle Mafie e l'idea che piuttosto che programmare e ragionare sul futuro ci si accontenta di fare cassa nell'immediato”. in ogni caso la massima trasparenza e l'assegnazione con bando pubblico risulta essere il modo migliore per risolvere almeno in parte il problema.
Questo grande lavoro viene coordinato dall'agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati, che da sempre fornisce supporto economico e organizzativo alle associazioni. Come tutto, anche il lavoro dell'Agenzia nazionale dei beni può essere migliorato. L'esempio più eclatante è proprio il fatto che nonostante vengano confiscati alle mafie milioni e milioni di euro, il Fug, fondo unico di giustizia, che dovrebbe destinare a giustizia e interno i beni liquidi confiscati, di fatto non da’ garanzie di efficienza e trasparenza.

LUCA MANDARINO
ANTONIO SQUILLINO
FABRIZIO ARNONE


domenica 15 luglio 2012

Trapani, continuano le indagini sul delitto Anastasi. Intanto arrivano i criminologi...


TRAPANI – Delitti sempre più cruenti, che lasciano dubbi circa l’umanità delle persone. L’ultimo caso è quello di Maria Anastasi, uccisa brutalmente con otto picconate alla testa al nono mese di gravidanza e poi bruciata nelle campagne di Trapani, vicino ad Erice, dove è stato ritrovato il corpo lo scorso 4 luglio. Accusato dell’omicidio, il marito Salvatore Savalli, con cui la donna aveva tre figli ed era in attesa del quarto, che sarebbe stata una bambina. L’uomo si era recato dai carabinieri il pomeriggio precedente al ritrovamento del corpo della moglie per denunciarne la scomparsa, quando si era fermato nelle campagne insieme alla donna. Fermata qualche giorno dopo anche Giovanna Purpura, amante dell’uomo, per concorso nel delitto con l’aggravante della crudeltà. Si aggiunge poi l’accusa di aver cagionato la morte del feto in prossimità del parto, per cui è stata loro emessa una nuova ordinanza di custodia cautelare da parte del procuratore di Trapani, Marcello Viola. Versioni discordanti sono state date dai due imputati, rinchiusi da giorni in carcere. Gli ‘amanti’ non sembrano uniti nella cattiva sorte, dato che si accusano a vicenda dell’efferato assassinio. Savalli fa ricadere la colpa dell’omicidio sulla Purpura, la quale, secondo quanto riporta l’uomo, nel corso di una lite avrebbe ucciso e dato alle fiamme l’Anastasi.  L’amante, invece, già al momento in cui venne ascoltata come persona informata sui fatti in una prima fase dell’interrogatorio, aveva ammesso di aver assistito all’omicidio, mentre la donna veniva trucidata dal Savalli in seguito ad una lite. Contro quest’ultimo la voce dei tre figli, due femmine, di 17 e 15 anni, ed un maschio di 14 anni, abbastanza maturi per ritrarre una situazione domestica insostenibile, descrivendo il padre come un uomo aggressivo e violento  nei confronti della madre.  Questi hanno, inoltre, rivelato di aver visto il padre allontanarsi in auto con le sue due donne il pomeriggio precedente al ritrovamento del corpo, portando con sé una tanica di benzina. L’omicidio sembrerebbe dunque premeditato da subito. Lotta accesa tra i due amanti, i quali sembrano non voler cedere alle accuse dell’altro. Dura arringa che si sposta anche in ambito legale con l’iniziativa dei difensori dei due indagati. L’avvocato di Savalli, Giuseppe De Luca, ha chiamato in qualità di consulente la criminologa e psicologa forense Roberta Bruzzone, con risposta immediata dei legali della Purpura, Elisa Demma e Michele Renda, i quali si sono rivolti al dottor Francesco Bruno. Entrambi criminologi, noti alla tv per casi di cronaca eclatanti come quelli di Sarah Scazzi e Melania Rea, per la Bruzzone, e il caso di Vantaggiato per Bruno. Battaglia dunque affidata, o meglio ceduta, ai medici del crimine per meglio comprendere le trame che legano i due presunti assassini nell’omicidio di una donna che portava in grembo un’altra vita, da custodire e proteggere. Donna spezzata dalla gioia di vedere crescere i propri figli, umiliata dalla presenza di una donna che non avrebbe mai potuto prendere il suo posto, maltrattata da un uomo che si è macchiato del crimine più crudele.

FRANCESCA CAMPAGNIOLO